La Scuola Achille Ardigò del Comune di Bologna ha concluso il secondo Corso Magistrale. La proposta del Welfare di Comunità. Un modo diverso di fare cultura per la Città.

La Scuola Achille Ardigò ha completato il secondo Corso Magistrale 2019 – 2020 interamente dedicato a un Welfare di Comunità in grado di affrontare due temi di importanza epocale, soprattutto dopo l’emergenza coronavirus: la condizione della terza età sotto l’aspetto sociale, della salute e dell’economia locale; la situazione delle famiglie a basso reddito, impoverite dalla crisi, con figli minori, sotto l’aspetto dell’inclusione sociale, culturale e delle prospettive di vita.

L’obiettivo della Scuola – che opera in convenzione con diversi dipartimenti dell’Università – non è soltanto quello di studiare, di fare ricerca su questi temi ma di trasformarli in policy, ovvero in proposte concrete, attuabili, quindi rivolte ai decisori locali, alla politica, agli amministratori comunali e regionali, ma anche nazionali.

Un secondo obiettivo è quello di coinvolgere in queste policy non solo le istituzioni pubbliche ma l’insieme degli attori presenti nella società locale che possono trasformare il welfare statalista in un sistema assistenziale pluralista. Una presenza attiva, oltre al settore pubblico che deve garantire una regia efficace ed efficiente, è infatti richiesta – come in parte già avviene – dal volontariato, dal terzo settore e da quello economico delle imprese di mercato.

Inoltre la scuola, non casualmente intitolata al grande sociologo bolognese Achille Ardigò, ha voluto approfondire – e lo farà anche prossimamente – un aspetto essenziale di un moderno sistema di welfare. Mi riferisco al ruolo effettivo dei soggetti destinatari di ogni intervento, cioè ai cittadini.

I cittadini qualche volta vengono chiamati assistiti, in altri casi utenti dei servizi, oppure addirittura clienti in una logica sempre più di mercato dove servizi si pagano a partire da quelli sanitari. Poi sappiamo che essi sono anche, per il mondo politico e partitico, elettori.

Ebbene, in tutti questi ruoli difficilmente si intravede una prospettiva dove il cittadino è dotato di potere e di effettiva responsabilizzazione nelle scelte pubbliche del welfare locale. Quella che nel linguaggio sociologico, ma ormai anche comune, si esprime con il termine  empowerment dei cittadini: potere effettivo di incidere sulle scelte, possibilità di partecipare non in modo formale e rituale, responsabilizzazione e appropriatezza di comportamento .

Ad esempio, se si parla di sanità in questo periodo di grave crisi del sistema sanitario – dove tra l’altro sono saltati gli strumenti di accesso che storicamente i cittadini avevano conquistato come il Cup  – sarebbe opportuno sentire il parere della gente, spesso espropriata per ragioni economiche e organizzative dall’accesso a servizi elementari come visite diagnostiche o controlli sanitari.

È possibile rendere effettiva una politica di empowerment dei cittadini? Non certo con dichiarazioni formali tipiche del sistema politico. Occorre invece  riconoscere quelle realtà che già esistono; avere profondo rispetto per le forme di aggregazione della gente senza pretendere di imporre soluzioni dall’alto, secondo logiche e interessi che sono soprattutto di potere.

E noto che i cittadini fanno ormai largo uso del web e delle forme sociali della Rete, anche di quelle più elementari come WhatsApp, le e-mail i social popolari come Facebook. Attraverso la semplificazione di questi strumenti essi  stabiliscono contatti per bisogni elementari, come la ricerca di una badante o di una babysitter; formano gruppi spontanei in rete per temi che possono essere semplicemente quelli di interesse per i genitori di una  classe scolastica o dei partecipanti a un’iniziativa musicale o sportiva.

Tutte cose che conosciamo perfettamente e che interessano tutti i gruppi sociali, perfino quelli recente immigrazione.

Queste forme di aggregazione della gente in rete o di vicinato o per singoli interessi, devono essere pienamente riconosciute a livello politico e istituzionale. Esse devono diventare  interlocutrici di una nuova era di partecipazione sociale, anche perché dopo il coronavirus sì è estremamente diffusa la presenza dei cittadini in rete per la necessità di utilizzare forme di comunicazione online.

Intervenendo a conclusione del Corso Magistrale della Scuola Ardigò, il sociologo Riccardo Prandini ha ricordato che il Welfare di Comunità che stiamo progettando ha tre caratteristiche irrinunciabile per identificarlo e dargli una prospettiva amministrativa: 1. è di prossimità, cioè vicino alla gente al quartiere, al rione, e non è qualcosa che sta nel palazzo lontano; 2. e di diversità, cioè riguarda tutti nella loro diversa collocazione sociale ed economica, bolognesi e non bolognesi, immigrati recenti e lontani, gente con cultura e storia diversa; 3. deve dare sicurezza, non solo  incolumità fisica ma anche presa in carico: sapere che qualcuno, se abbiamo bisogno, si occuperà di noi.

Sempre nella stessa tavola rotonda – coordinata dalla professoressa Cristina Ugolini – conclusiva della Scuola, il professor Federico Toth ha spiegato che gli anziani sono non un problema ma una grande risorsa umana e perfino economica perché sono consumatori e produttori importanti, gente che possiede un reddito ma anche persone dotate di competenze accumulate nel tempo che possono essere messe al servizio della città.

Inoltre il professor Filippo Andreatta ha ricordato che la Bologna di oggi è ben diverse da quelle di ieri e forse dalla stessa che immaginiamo. Una città che ha uno straordinario bisogno di forze giovani perché sta invecchiando; e quindi di nuovi apporti demografici e culturali.

A conclusione, l’assessore Giuliano Barigazzi del Comune Bologna si è dichiarato pienamente d’accordo con questa impostazione.

Esisterebbero pertanto tutte le condizioni per procedere a livello locale con una profonda riforma del vecchio welfare state, in particolare nel campo sanitario, assistenziale, scolastico e culturale, offrendo assieme servizi di assistenza anche servizi di promozione culturale nel territorio, come peraltro il Comune di Bologna sta facendo con uno sforzo particolare nel cinema per tutti, nelle nuove biblioteche e negli spazi culturali.  Lo ricordavano, intervenendo alle lezioni precedenti della Scuola, il direttore del Comune Valerio Montalto, l’assessore Matteo Lepore il direttore della cineteca Gian Luca Farinelli.

La Scuola Ardigò, che nasce da un’intesa tra l’associazione Achille Ardigò e il Comune di Bologna proposta dal Sindaco Virginio Merola, si muove quindi su un terreno molto originale e per certi versi inesplorato, lontano – come abbiamo avuto già modo di dire –  dai metodi tradizionali in cui si è svolto il confronto politico-culturale negli ultimi anni a Bologna. Senza la grancassa politica-giornalistica e le sfilate pre-elettorali con i soliti nomi.

C’è a Bologna un vizio degli intellettuali locali, antico quanto la nostra Università, ad offrire soluzioni ‘scientifiche’, anche sul terreno politico e istituzionali e di riforma dell’assistenza, accondiscendenti rispetto a logiche e interessi che non sono quelli della scienza e della ricerca. C’è stato, inoltre, un comportamento, anche recente, dei mezzi di informazione locali accondiscendente rispetto a questa logica.

Tutto questo non ha aiutato né la scienza politica, economica, sociale, né tantomeno i cittadini e la città .

La scuola ha invece racconto la lezione di Achille Ardigò che non solo era un teorico del ruolo sociale dei ‘piccoli gruppi’, della loro funzione in una città in una società moderna, ma anche – permettetemi il termine – un ‘provocatore benevolo’, quello che sa quando e come gridare ‘il re è nudo’. Poi non si fermava lì ed era avido consumatore di ricerche e proposte di riscatto sociale. Nell’ultimo scritto, pubblicato prima di lasciarci,  dedicato ai ragazzi e alle famiglie, invitava i giovani (e i genitori!) ad avere il coraggio di uscire di casa non a 35 anni ma ben prima per intraprendere le vie del mondo e della vita.

La Scuola A.Ardigò del Comune di Bologna ha raccolto l’insegnamento del grande sociologo e nel silenzio della grancassa mediatica sta promuovendo studi, ricerche, formazione per la Bologna di oggi e di domani con una originale collaborazione strutturata nell’ambito del l’Amministrazione Comunale, con l’Università e i migliori centri di ricerca sociali. Un progetto forse unico nel contesto nazionale che ora diverse città vogliono imitare.

(Nelle foto i professori Riccardo Prandini e Federico Toth)

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