Una città diversa di Giulia Angeli

Il silenzio regna sovrano nella città trasformata. Appaiono lontani i rumori del traffico, le voci della gente. Di colpo tutto è cambiato. Siamo prigionieri di un nemico invisibile, spietato che inghiotte proprio dentro quel silenzio  persino gli affetti più cari. Qualcuno è’ arrivato a sostenere che la natura si sta riprendendo ciò che le abbiamo tolto in questi decenni di scempi  creando un ambiente  inquinato dai nostri egoismi. Sotto inostri occhi appare un Paese disastrato da decenni di errori commessi da chi ci ha governato. Paghiamo i conti lasciati in sospeso. È mancata la volontà di dedicare le risorse in settori importanti come la sanità, la cultura, la ricerca, il welfare. Lo spettacolo a cui assistiamo è  il prodotto di tutti questi errori. Proprio in questi giorni l’Istat ha reso noto il report “Pubblica amministrazione locale e Ict” relativo al 2018.  La connessione ultraveloce risulta ancora poco diffusa e troppo lenti i passi verso l’analisi dei biga data e l’uso di intelligenza artificiale. L’attuale situazione di emergenza sta però permettendo di sbloccare tecnologie ed azioni che solo qualche mese fa pareva impossibile e ancora troppo lontano realizzare. Le esperienze virtuose di alcune regioni lo dimostrano ogni giorno, riuscendo a garantire ai cittadini i servizi di sempre e a darne altri, oggi, più preziosi.

Ancora una volta la generosità’ della gente comune, la professionalità’ di tutto il personale sanitario, la solidarietà del mondo del volontariato sta sostituendosi alle carenze di uno Stato sempre più’ debole, confuso, diviso, prigioniero di una burocrazia asfissiante proprio come questo maledetto virus. Anche in Liguria il flagello silenzioso continua a mietere vittime. Una strage, soprattutto di anziani, molti dei quali colpiti in Istituti diventati autentici lazzaretti, strutture inadeguate ad affrontare questo “terremoto” sanitario. Basti pensare che dal 20 febbraio al 7  marzo, in 230 residenze sono decedute 801 persone di cui 220 a causa del Covid. Sono storie atroci di uomini e donne che non sono più riusciti a vedere i loro cari, ascoltare una parola di conforto, e sono scomparsi in un’anonima bara, infilata in un forno nell’agghiacciante silenzio.

Questo percorso  di sofferenza della malattia spaventa tutti noi. Viviamo nella paura. La mascherina, i guanti sono diventati i nostri compagni inseparabili per ricordarci che rischiamo di infettarci in ogni momento. Il tutto aggravato dalla mancanza di notizie certe sul futuro. Navighiamo a vista, bombardati dai media, consigliati dai super esperti, appesi a uno scarno bollettino di vivi e morti scandito ogni sera alle 18.00 da persone in divisa o in borghese, che sfoderano cifre di morte e speranza.

Sempre più soli, più’ poveri, in un una “gabbia” che ci rende quasi impotenti difronte a uno scenario nazionale ed europeo inquietante: il balletto delle mascherine, dei respiratori, degli aiuti economici a gente che ha perso e perderà tutto. Aziende sull’orlo della chiusura in attesa di aiuti concreti, date certe per la possibile riapertura. Una situazione difficile, soprattutto, in quel mondo del lavoro che  appare poco tutelato sotto ogni aspetto. Troppe sono state nel passato, le morti bianche, cancellate dall’indifferenza e sete di profitto.

Nel silenzio, rotto dal cinguettio degli uccellini e dal suono delle campane e delle ambulanze, ci troviamo  in un mondo cambiato improvvisamente e pensiamo alla nostra estrema fragilità. Questo nuovo modo di vivere ci ha fatto riscoprire la sofferenza dei malati, lo sguardo perduto nel vuoto degli ultimi, la solitudine dei carcerati stipati in celle soffocanti. Ha mostrato anche il lato del progresso di una società basata  sull’egoismo e il profitto nascosto sotto il tappeto di un’apparente felicità. Il nostro futuro? Al di là degli slogan ottimistici, tipo “andrà’ tutto bene”, sarà certamente diverso.

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