E’ Morto Stefano Grossi, un amico, un uomo libero

È morto Stefano Grossi. Eravamo veri amici da tanto tempo, dal lontano 1968. Lui, più grande di me, era già studente universitario nella facoltà di legge. La polizia lo arrestò davanti ad una fabbrica, durante un picchetto operaio. Lo provocarono e lui reagì di scatto con un pugno. Gli occhiali andarono in frantumi e lui fece due lunghi mesi di galera con altri compagni di lotta, poi fu assolto. Durante un film girato a Bologna si vede in un corteo di studenti un cartello con scritto ‘Liberate Grossi’.
Stefano però era un comunista ‘diverso’. Un “migliorista”. Un termine coniato da Pietro Ingrao per parlare in modo dispregiativo di quei militanti di sinistra che non erano veri comunisti, cioè non solo critici con il ‘comunismo reale’ ma anche poco inclini allo statalismo. Non pensavano che lo stato fosse la giusta soluzione per tutti i problemi. Qualche volte ero lo Stato il problema.
Stefano, poi, era di indole tollerante, benevola, schivo agli isterismi dell’estrema sinistra, alle forme esasperate degli ideologismi, alle rigidità burocratiche di partito. Amava i piaceri della vita, la tavola, le lunghe chiacchierate notturne con gli amici. Nel contempo aveva un’intelligente acuta, vivace e una memoria eccezionale; ma sopratutto era un uomo di vasta e raffinata cultura. Leggeva tantissimo, si documentava continuamente. Preferiva, nell’incertezza, ascoltare piuttosto che fare. Caratteristiche molto lontane dallo stereotipo del militante di partito; anche se lui la vita del militante l’ha fatta per intera.
Nella sanità bolognese ha portato, da quanto era Presidente di una Unità Sanitaria Locale cittadina fino ai nostri giorni, idee, cultura e una grande competenza; polemizzando con decisione e ironia contro il pressappochismo, il sindacalismo corporativo, quel fare fastidioso di una sinistra apparentemente movimentista ma di fatto conservatrice, chiusa, stantia.
Poche settimane prima di lasciarci mi aveva scritto che voleva aderire alla Associazione Achille Ardigò e, ancora prima, aveva partecipato da una assemblea al Passpartout di Via Galliera sul futuro incerto di Cup2000. Mi diceva che non riusciva a comprendere certi progetti di smantellamento del Cup; me ne parlava con amarezza e preoccupazione, come un segno di decadenza della politica bolognese.
Stefano era un uomo libero in una città dove non sempre la libertà è un valore apprezzato. Ci mancherà.

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