Il Mito di Bologna e Federico Rampini

Federico Rampini è un giornalista-scrittore di indubbio successo. Figlio d’arte (padre diplomatico presso la CEE), scuole a Bruxelles – anche se non riesce a laurearsi – frequentazioni bene, ex PCI, sessantenne in piena carriera come inviato de La Repubblica in tre continenti, cittadinanza USA acquisita, il Presidente Napolitano che gli assegna il premio Saint Vincent per il giornalismo. Ha tutto. Scrive questa settimana un pezzo ‘leggero’ su l’Inserto Donna di Repubblica in cui dà un’idea perfetta del giornalismo effimero dei nostri giorni. Scopre, passando per Bologna (‘per comodità di collegamenti’) che la città non è più quella che immaginava ed è meno sicura della sua più abituale New York. Quale era la città che sperava di rivedere Rampini tra un posto First in Freccia Rossa e un’aereo per l’America? La Città Rossa dei ben vent’anni, quella di Umberto Eco, degli studenti che contestano, degli amici delle Coop e del buon cibo. A parte il cibo, ‘Che tristezza invece il quartiere della stazione di sera. Squallore, disagio, paura..’ scrive il grande reporter. Ma in che mondo vive Federico Rampini, da pensare che Bologna sia restata un teatrino della storia? Dove si possono incontrare ancora tribù di Rossi assieme a laboriosi cooperatori a cena con barbuti filosofi ‘di una Univesità più antica della Sorbona’. Il tutto in un ambiente idilliaco di simpatica bolognesità. Bologna e ben altro e vive tutte le contraddizioni drammatiche di una città dell’occidente parte della storia che attraversiamo: immigrazione incontrollata, nuove povertà, crisi del welfare, insicurezza. Come Milano, Torino, Tolosa o Lione e tante altre. Per superare queste contraddizioni, che comportano insicurezza e perdita di diritti, dovrà uscire definitivamente da quel provincialismo stantio che rimpiange Rampini. Ci sta provando, con fatica.

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