A Pasqua un’opera Buona: permettete che i malati gravi di Coronavirus siano visitati in ospedali da un parente. Cambiamo il welfare di Mauro Moruzzi

Credo che per Pasqua gli amministratori della sanità pubblica dovrebbero fare un’opera buona. Concedere ai malati di Coronavirus, sopratutto a quelli gravi che sono in pericolo di vita, di essere visitati da una persona cara della famiglia, come propongono i firmatari della lettera che allego. Non è poi così difficile fornire a un parente, a un genitore, mascherina, guanti e scafandro di plastica come hanno gli infermieri. Sono troppe le denunce di chi si è visto portare via un genitore anziano, perdendo ogni contatto con la persona cara e ricevendo, dopo giorni, solo una telefonata che ne annunciava la morte o semplicemente l’urna della cremazione. In questo modo si perdono gli elementare diritti di tutela, anche legali e costituzionali, a difesa della vita. Come è morta quella persona? Non si sa, non è stata possibile nemmeno raggiungerla per telefono. Non parliamo poi di autopsia. A volte la famiglia non sa nemmeno in che reparto era stata messa o trasferita. Non siamo più al tempo dei monatti che portavano via gli appestati strappandoli ai propri cari. Poi, quello che accade in alcune case di riposo per anziani, anche nella nostra regione, è intollerabile. Emerge un mondo di sofferenza e di drammatica gestione delle persone anziane come ‘pacchi da sistemare’, che abbiamo voluto non vedere in tutti questi anni. Fanno bene i sindacati dei lavoratori di queste strutture a denunciare la situazione, pericolosa perfino per gli operatori. In una di queste ‘case di riposo’ bolognesi, il Sant’Anna di via Pizzardi, alle proteste di una figlia di una riversata morta di COVID19, il presidente GIanluigi Pirazzoli ha così risposto: ‘se le condizioni erano così fatiscenti, perché la signora ha tenuto sua madre qui dentro?’. Forse è tempo che  anche la magistratura bolognese si interessi di queste situazioni. C’è un mondo di sofferenza diffuso, non solo in queste strutture fatiscenti, che il vecchio welfare non riesce più  ad assistere da anni. Anziani che vivono male, che non hanno i soldi per curarsi, che devono attendere mesi per una visita o un esame, gente che ha più patologie croniche, ma non è adeguatamente seguita dai servizi, abita in posti non adatti. Persone sole. La Scuola Achille Ardiò del Comune di Bologna ha iniziato, con fatica ma con determinazione, a svelare questo mondo. Bisogna pensare, per il dopo Coronavirus, a un welfare diverso, ‘di Comunità’, attento ai diritti dei cittadini, non gestito burocraticamente.

Riporto di seguito la ‘Lettera aperta’ di dodici professori delle scuole medie bolognesi affinché ai nonni malati di COVID19 dei loro alunni sia concesso in ospedale una visita di un parente. Almeno per le festività di Pasqua, aggiungiamo noi.

“(…..) Sappiamo che, da sempre, il reparto di terapia intensiva è luogo interdetto ai visitatori; e che nei momenti di epidemia, le cautele si fanno ancora più stringenti. Tuttavia, nel dibattito democratico che non dovrebbe venir meno anche in questi momenti di emergenza, vorremmo richiamare l’attenzione sul venir meno del carattere umanizzante del morire, senza il quale si lascia la persona morente nella solitudine affettiva. Chi muore da solo non ha la possibilità di far udire la propria voce, le sue ultime volontà. Al massimo, le può consegnare al personale medico.Un metro di misura dell’umanità di una società civile è dato dal tutelare i più deboli, dando voce a quanti non hanno voce. Riteniamo che anche questo rivesta il carattere di emergenza che muove le decisioni di questi giorni.

Chiediamo, dunque, che ci si interroghi seriamente su questo aspetto e che si provi a formulare un protocollo che tenga assieme le ragioni della salute con quelle degli affetti. E’ veramente improponibile pensare che una persona cara, nell’assoluto rispetto delle norme sanitarie, possa essere presente per accompagnare un proprio congiunto nel delicato momento del passaggio dalla vita alla morte? Si può, con fatica, accettare la solitudine della tumulazione: una volta passata l’emergenza, ci potranno essere gesti pubblici per elaborare il lutto. Ma per chi muore, non si possono differire i tempi: c’è un unico momento. Nessuno merita di morire da solo, nemmeno in una situazione come l’attuale, sotto il ricatto del sacrificio per il bene dei propri cari.

Come il personale sanitario, con le dovute cautele, può avvicinarsi al morente, così, a nostro giudizio, è necessario pensare di prevedere la presenza di un congiunto. Ci appelliamo, dunque, all’intelligenza vigile e creativa di quanti hanno a cuore di promuovere la dignità del vivere e del morire di tutte e tutti. Nell’emergenza, insieme all’eccellenza sanitaria e al governo politico della situazione, facciamo emergere anche una chiara attenzione al profilo umano di quanti sono vittime dell’epidemia”. Lettera firmata da dodici docenti delle Scuole Medie Bolognesi.

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